venerdì 25 marzo 2011

lettura e scrittura nelle carceri

Ciao a tutti!
oggi vi propongo un'intervista fatta a Duccio Demetrio, ripresa dal sito http://www.ristretti.it/ ; la trovo molto interessante in quanto l'intervista riguarda la lettura e la scrittura nelle carceri.
Per quanto riguarda la lettura, raramente vi sono a disposizione dei detenuti libri da leggere all'interno delle carceri tanto che Duccio Demetrio afferma che i detenuti non godono del "piacere della solitudine buona" che si prova nel leggere un libro, distaccandosi dalla realtà in cui si è circondati ed entrando in un'altro mondo, spesso spensierato.
Per quanto riguarda invece le scrittura si attuano nelle carceri dei laboratori di scrittura autobiografica che come afferma Demetrio nell'intervista aiutano a pensare e riflettere su di sè, su ciò che li circonda e la scrittura poetica invece che aiuta a non rimuginare continuamente nei propri errori irrimediabili per cui spesso i detenuti si affliggono ma attreverso la scrittura poetica si distaccano da questa loro realtà problematica.

Vi propongo di seguito l'intervista. Ditemi cosa ne pensate!


Intervista a Duccio Demetrio, docente di pedagogia generale ed educazione degli adulti all’Università degli Studi di Milano ed esperto di scritture autobiografiche

 A cura di Ornella Favero e Omar Ben Ali


Alla scoperta della lettura e della scrittura in età adulta, nelle condizioni drammatiche dei luoghi di detenzione
Duccio Demetrio si occupa “da sempre” di scrittura autobiografica, e lo fa in particolare nelle realtà dell’emarginazione, che sono, dice lui, “sempre più, e per fortuna, attraversate oggi da esperienze e da proposte di natura educativa, di natura formativa”.
Di queste esperienze ci ha parlato in questa intervista, con la passione, l’originalità, la ricchezza comunicativa che contraddistinguono tutto il suo lavoro.
 
Ci può parlare di cosa vuol dire avvicinarsi alla lettura e alla scrittura in età adulta, in carcere?
C’è una frase famosa che introduce un piccolo testo, non a tutti noto, di Marcel Proust, “Sur la lecture”: “Non ci sono giorni in fondo così importanti nella nostra infanzia, così pieni, paragonabili a quelli che abbiamo passato con un libro”. Perché evoco questo passaggio, così importante e poetico, di Proust? Perché questo piacere, questa intimità, questa riservatezza, questa scoperta della propria unicità, non sono concessi a coloro che si trovano nelle carceri. Chi vive nelle carceri non viene da questi mondi, da queste culture private, viene da mondi promiscui, da mondi dove non solo non è mai entrato un libro, ma, soprattutto, dove la sua identità individuale non si è potuta costruire, separandosi anche e necessariamente dagli altri.
Chi vive nelle carceri non conosce l’esperienza della solitudine buona, il “piacere della solitudine buona”. Si trova, quindi, precipitato nelle carceri, dinanzi alla inevitabilità della solitudine, della tortura della solitudine, ancora una volta nella promiscuità, senza possibilità di emancipazione, di incontro con quel mondo privato che caratterizza la vita segreta di tutti noi, la vita dei grandi o dei piccoli spontanei narratori, che hanno avuto la fortuna di crescere, di svilupparsi nella cultura scritta.
Nelle carceri questo mondo non c’è. E quindi l’incontro con il libro, e con le grandi potenzialità dell’avvicinarsi (o dell’imparare a farlo, per la prima volta) al leggere e allo scrivere dischiude non soltanto l’esperienza dell’individuo alla cultura, ai primi approcci con il sapere, ma lo dischiude dal punto di vista esistenziale.
Questo mi sembra interessante, come studioso di età adulta, perché non è vero che noi nasciamo una sola volta, noi nasciamo tutte le volte che, come diceva Marguerite Yourcenar, noi gettiamo uno sguardo più consapevole nei confronti del mondo, nei confronti della realtà.
Noi nasciamo e rinasciamo e, quindi, l’incontro con la lettura e la scrittura costituisce un’esperienza che talvolta sottovalutiamo, che talvolta sottovalutano anche gli educatori che organizzano nelle carceri laboratori e momenti di emancipazione attraverso la lettura e la scrittura. Questi momenti di scoperta di sé rappresentano proprio l’aspetto più cruciale di questa rinascita psicologica al mondo.
 
Può raccontarci qualche esperienza di scrittura autobiografica in carcere?
Alla mia attenzione, nella mia Università e soprattutto presso l’Università che ho inventato, con un grande giornalista italiano, Saverio Tutino, tre anni fa (mi riferisco alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, che organizza corsi e seminari per diventare specialisti in autobiografia, per diventare anche operatori specialisti nella ricerca autobiografica), giungono ormai sempre più scritture che nascono nelle carceri.
C’è poi un testo di grandissima significatività che si intitola: “Lettere dal carcere”. E’ la storia di una volontaria nelle carceri, famosa, prestigiosa, si chiama Athe Gracci e lavora nel carcere di Pisa. È una donna di ottant’anni, che da decine di anni conversa con i reclusi, raccoglie le loro storie e le riorganizza. Dobbiamo a lei questo bellissimo testo, che ci dice quanto segue: “Quando mi capita di aprire per la prima volta un libro, subito immagino la ricchezza di ciò che andrò a leggere. Leggere è come un istante di libertà, che implica interesse per l’anima dell’uomo”.
E’ sulla base di queste convinzioni così profonde che inizia e si svolge il suo percorso di avvicinamento a storie di detenuti che “vengono scritte come sgravandosi di un peso, dopo colloqui di profonde riflessioni e malinconie, di sguardi intensi, spesso bruscamente interrotti per mancanza di tempo. Ed io cerco di convincerli che ogni essere è importante, è indispensabile all’universo. È necessario cercare e frugare nei più intimi segreti del loro cuore. Ho così parlato, nel corso di questi anni, con molte persone chiuse dentro le mura di un carcere”.
Ma ci sono anche molte altre esperienze, nel carcere di Opera, a San Vittore e anche nel carcere di Secondigliano, a Napoli.
 
Ma che senso ha la scrittura in carcere?
Perché la scrittura carceraria? Perché nasce questo bisogno di occuparsi dello scrivere di sé? Non solo perché, nel momento in cui, con la detenzione, l’esperienza della naturalità, della socialità del vivere viene meno, l’individuo inevitabilmente si avvicina a se stesso, ma soprattutto perché, nell’incontro con la scrittura di sé, noi troviamo ciò che costituisce una nostra tecnologia personale di ricostruzione del nostro mondo interiore, di ricostruzione di un tessuto psicologico profondo.
Non c’è altra modalità, credo, per dare alla crescita personale uno sbocco interessante e positivo. Chi scrive di sé, chi scrive diari, chi scrive epistolari con le tecniche più tradizionali, più antiche, più note, si accorge che mette in ordine i propri ricordi, le proprie immagini, le proprie rappresentazioni, i propri passaggi esistenziali.
 
Secondo lei, perché in carcere è così diffusa e amata la scrittura poetica?
Nella tecnica della scrittura noi ci imbattiamo sempre in due possibilità: da un lato una tecnologia narrativa di sé, della propria storia, dei propri passaggi esistenziali, dei propri momenti cruciali, dei propri errori, delle possibilità che erano state date e non sono state colte per emanciparsi e, dall’altro, troviamo un altro tipo di scrittura, che si sta diffondendo sempre di più nelle carceri e in questi laboratori, che è la scrittura trasfigurante  propria della poesia.
Io talvolta mi interrogo sul motivo per cui nelle carceri si tengono più laboratori di scrittura poetica che laboratori autobiografici. La risposta a questo interrogativo non è poi così difficile, perché la scrittura poetica ci evita ed evita anche ai detenuti di interrogarsi sui propri errori, sulle proprie recidività, sulle proprie menzogne.
La scrittura poetica talvolta è una forma importante di evasione, di creazione d’allucinazioni, è una scrittura che crea forme di giusta, inevitabile, importante evasione da sé. La scrittura autobiografica è tutt’altro, perché la scrittura autobiografica ci chiede e chiede non solo ai detenuti, ma a ciascuno di noi, il coraggio di avvicinarci alla verità (anche se poi la verità non viene scritta, per timore, per cautela, per preoccupazione), ed è una scrittura che genera processi mentali e conoscitivi che producono quella interiorizzazione e autoriflessione unica, che altrimenti non si genera e produce.
 
Quale differenza ha notato tra le biografie scritte dalle persone detenute e quelle scritte dalle persone libere? Ci sono degli elementi particolarmente curiosi e interessanti, da questo punto di vista?
Sì, proprio perché, secondo me, il detenuto preferisce scrivere in modo più libero e poetico, preferisce rimuovere e dimenticare certi eventi drammatici della sua vita precedente e dedicarsi di più a una scrittura che gli allevi questi dolori. È difficile che questo accada nelle autobiografie scritte in libertà, dove, invece, le persone vanno proprio a cercare i momenti drammatici della loro esistenza.
Li affrontano con maggiore serenità anche perché se lo possono permettere: la loro storia non è segnata, come quella di un detenuto, da momenti drammatici che uno preferirebbe dimenticare.
 
Per quanto riguarda i ragazzi stranieri che sono in carcere, come si può lavorare con loro nella scrittura autobiografica? Bisogna forse tener conto che, molto spesso, si portano dietro l’angoscia di un fallimento, quindi fargli raccontare le loro storie scatena anche questo dolore, queste ansie…
Io ho visto che, anche in questo caso, ha funzionato molto bene una specie di gioco dell’oca dei ricordi, che si può trovare spiegato nel mio libro “Il gioco della vita”, che contiene, tra l’altro, dei giochi autobiografici. Si tratta in realtà di un vero e proprio gioco dell’oca: i partecipanti tirano i dadi e, a seconda del numero estratto, finiscono in una casella e sono obbligati a raccontare un loro ricordo. Oltre a questa, il libro presenta trenta proposte di scrittura autobiografica e quindi il formatore può trovare quelle che più gli possono essere utili, del tipo: “Immagina di scrivere le cose più importanti della tua vita in un messaggio, che metti in una bottiglia immaginaria da gettare in mare. Vorresti che la bottiglia finisca nelle mani di chi?”
Sono giochi di evocazione e creatività. Non devono nemmeno essere giochi troppo insistenti sul passato, perché la cosa importante è, invece, la fiducia nella narrazione.
 
Pensa che la divulgazione delle autobiografie degli immigrati detenuti possa contribuire a cambiare certi pregiudizi nei loro confronti?
No, credo che non basti. Io penso che, per cambiare i pregiudizi, a livello dell’opinione pubblica, servano allora delle iniziative più efficaci per diffondere queste esperienze, come dei festival di narrazione interculturale, cioè delle manifestazioni in cui gli stranieri dimostrino, raccontando di sé, presentando pagine dei loro romanzi, che hanno una cultura, un acume nel leggere la loro condizione e anche la nostra condizione di occidentali.
Una scrittura, da sola, se non è sostenuta da iniziative culturali e pedagogiche che vanno nella direzione di un aiuto a queste storie, è troppo poco per conservarle, così rischiano di disperdersi.
 
La nostra esperienza è quella di fare un giornale con molte storie raccontate. Nell’opinione comune, spesso lo straniero è il criminale, ma se invece una persona comincia a leggere le storie di Imed, Nabil, Omar, e a vedere perché uno straniero ha lasciato il suo paese, come è arrivato in Italia, che cosa cercava, che cosa ha invece trovato, in qualche modo poi non può non capire che dietro l’identità dello “straniero criminale” ci sono molte storie di persone reali, con fallimenti, tentativi di vite diversi, paure e delusioni.
Questa esperienza fa parte, comunque, di una lettura e di una scrittura che non sono effimere, che si collocano dentro un progetto di lavoro preciso, ed allora i risultati possono essere davvero interessanti.
 
Da certi racconti provenienti dal carcere e anche dalle riflessioni di alcuni scrittori, a volte pare che la detenzione potrebbe avere una funzione pedagogica. Lei è d’accordo con questa opinione?
Non so se quella del carcere sia una funzione pedagogica, ma certamente rappresenta uno scarto nella vita, nell’esistenza, e qualche evento lo deve provocare.
Io non credo che il carcere sia la soluzione, però costituisce uno stacco, una rottura, un cambiamento. Il problema è di tirar fuori chi sta in carcere dall’immobilità, e già la scrittura, in qualche modo, mobilizza… ma è troppo poco! Nel carcere bisogna introdurre il lavoro, ma un lavoro che abbia ampi margini di creatività e di innovazione.








giovedì 17 marzo 2011

Piccola intervista


Ciao a tutti!!
Riguardo il tema dell’istruzione nelle carceri ho pensato di fare una piccola intervista, solo 5 domande, per sapere cosa ne pensano le persone a riguardo (in particolare i giovani); ho utilizzato un metodo di comunicazione oggi molto diffuso da questi ultimi, cioè un social network, Facebook.
Le domande che ho proposto sono:
1)Cosa ne pensi riguardo all’istruzione nelle carceri?
2) Pensi sia importante che i detenuti possano avere un’istruzione e sviluppare le loro conoscenze all’interno del carcere? Perché?
3) I soldi impiegati per l’istruzione nelle carceri secondo te sono sprecati o sono utili?
4) Che livello di istruzione dovrebbe avere secondo te un detenuto?
5) Secondo voi è utile la presenza di una biblioteca a disposizione dei detenuti all’interno delle carceri? Perché?

Ecco le varie, interessantissime risposte(sono riportate integralmente come le ho ricevute):

Adriano
Castaldini
35 anni
Pianista

1) L'istruzione nelle carceri è fondamentale
2) L'istruzione in ogni ambito è l'UNICO deterrente contro la delinquenza, e questo è ampiamente dimostrato. L'istruzione nelle carceri aiuta realmente a formare l'individuo ed a dargli la concreta possibilità di non tornare a delinquere una volta in libertà.
3) I soldi per l'istruzione PUBBLICA sono benedetti perché permettono di non arrivare all'emergenza sociale: il problema del sovraffollamento nelle carceri si supera soprattutto investendo PRIMA nel sociale (e quindi nell'istruzione). Va da se che investire denaro anche nell'istruzione nelle carceri è sempre una benedizione, e dovrebbe essere l'unico slogan per la sicurezza nelle nostre città.
4) Livello di istruzione anche universitario.
5) La biblioteca è lo strumento principale per istruirsi, per evolversi, e per formare un pensiero libero.


Elisa
Bortolato
19 anni
Studentessa

1)Cosa ne pensi riguardo all’istruzione nelle carceri? Non sono molto informata, ma secondo me l'istruzione nelle carceri è insufficiente. Proprio come tu hai affermato nel tuo blog: "Il detenuto è invece una persona che deve avere la possibilità di migliorarsi, di dire liberamente le proprie idee e sviluppare le proprie capacità, esternare la propria curiosità, imparare cose nuove mediante lo studio o il lavoro, singolo o di gruppo, mediante attività che possono essere proposte." anche io ritengo che il detenuto non debba essere solo una persona che deve scontare una pena, per quanto grave sia, perché ricordiamoci che in primo luogo egli è una persona.
2) Pensi sia importante che i detenuti possano avere un’istruzione e sviluppare le loro conoscenze all’interno del carcere? Perché? Certo, proprio perché i detenuti hanno bisogno di crescere, di essere educati, come tutti noi. Anzi, loro avranno ancora più bisogno della società che, per quanto scettica possa essere nel pensare che un detenuto possa essere normale, dovranno dimostrargli che possono essere persone con una condotta di vita normale e che si può migliorare.
3) I soldi impiegati per l’istruzione nelle carceri secondo te sono sprecati o sono utili? Non saprei rispondere sinceramente, perchè non sono informata in come i soldi spesi vengano usufruiti per l'istruzione.
4) Che livello di istruzione dovrebbe avere secondo te un detenuto? Dipende dall'età. Se è appena maggiorenne deve avere la possibilità di continuare i suoi studi. Così come un detenuto adulto, che nel suo cammino carcerario vuole riprendere o iniziare gli studi, gli deve essere data la possibilità. In fondo, lo studio non ha mai ucciso nessuno. :)
5) Secondo voi è utile la presenza di una biblioteca a disposizione dei detenuti all’interno delle carceri? Perché?
Si, secondo me è utilissima, magari con molti libri psicologici, religiosi e di narrativa. Un pò per permettere al detenuto di uscire dal quel mondo fatto di ferro e sbarre..un pò per capire più se stesso, studiando, credendo in qualcosa di nuovo..Una via di fuga nella loro mente!


Aurora
Di Nunno
19
Studentessa di Psicologia

1) L’istruzione nelle carceri è utile ai fini della persona in sè, ma in un'ottica più pragmatica sarebbe meglio procurare loro un lavoro
2) Non sono d’accordo perché il provvedere all’istruzione sarebbe una proposta a spese di altri
3) I soldi per l’istruzione sono, secondo me,  assolutamente sprecati per una persona che ha sbagliato e non dovrebbe avere troppi diritti nel periodo della rieducazione (in questo caso il diritto allo studio)
4) Un detenuto non dovrebbe avere nessun livello particolare di istruzione
5) Una biblioteca nelle carceri è utile, perchè lo svago è necessario per qualsiasi persona


Ilaria Castellin
21 anni
studentessa e lavoratrice

1) Io credo che l'istruzione sia positiva ma la delimiterei solo per alcune tipologie di detenuti, per coloro che devono scontare una pena di poco tempo in modo che poi l'istruzione che ricevono sia utile quando tornaranno in libertà; per coloro la cui pena è l'ergastolo non avrebbe senso istruirli.
2) Penso sia sì importante che i detenuti vengano educati ma questo non deve diventare un pretesto  per sperare di essere rilasciati prima dalla condizione carceraria con il pensiero che abbiano imparato già tutto.
3) I soldi impiegati per l’istruzione nelle carceri in parte sono utili. Certo è che prima di essere spesi x educarli dovrebbero spenderli per creare degli ambienti più sicuri (vedi evasioni e suicidi in carcere)
4) Penso che se i detenuti avessero un livello alto di istruzione non ci sarebbero finiti in carcere....
5)si, è utile una biblioteca nelle carceri per informarsi, per passare il tempo, x studiare per conto loro,per una cultura personale.


Greta Rossi
19 anni
studentessa

1-  A mio parere l'istruzione dev'essere libera e quindi interessare ognuno di noi quindi se ha la possibilità di esserci anche in un carcere ben venga.
2- Secondo me è importante un’istruzione per i detenuti in quanto queste persone avrebbero la possibilità di avere un grado di istruzione superiore a quello che tutt'ora hanno e reinserirsi nella società attraverso un lavoro onesto come la maggior parte delle altre persone.
3- I  soldi spesi per l’istruzione nelle carceri possono essere utili.
4- Per i detenuti penso a un livello di scuola superiore/istituto professoniale.
5- Sì, è utile una biblioteca nelle carceri perchè a mio avviso la lettura permette agli uomini di espandere la propria cultura e spesso di poter comprendere cosa stanno sbagliando nella loro vita e quindi di cambiarla.

Isabella
Leonetti
28 anni
studentessa

1- Penso che l’istruzione nelle carceri sia una cosa positiva perchè è una possibilità in più per crescere e magari capire!!
2- Si perchè è un modo per i detenuti di avere un' altra possibilità e un' opportunità quando un giorno sarsnno liberi; la cultura e quindi il fatto di essere istruiti, è l' unico modo per accedere nella società e a maggior ragione per un ex detenuto per il quale una volta fuori sarà molto più difficile reintegrarsi.
3- I soldi spesi per l’istruzione nelle carceri sono senz'altro utili!
4- Secondo me il livello di istruzione che dovrebbero avere i detenuti è il massimo quindi la laurea!
5- Una biblioteca nelle carceri sarebbe utilissima. E’ il modo più semplice e naturale per accedere alla cultura e al sapere, non quello che viene insegnato ma ciò che si può imparare da sè attraverso l' esperienza di sé, di quello che si è, e magari di ciò che si vuole essere. E’ necessario sapere, conoscere la storia degli uomini per capire anche i propri errori e non commetterli più!

Martina Braggion,
20 anni,
 studente lavoratrice.

Secondo me l' istruzione in carcere è molto utile per tenere impegnate le persone che in passato hanno sbagliato. I soldi impiegati per questo scopo secondo me non sono sprecati, tranne che in casi particolari. Infatti proprio perchè il carcere ha una funzione rieducativa tutte le iniziative che hanno come fine l' istruzione sono importanti per poter permettere in futuro ai detenuti di reinserirsi nella società. Quindi la presenza di una biblioteca nel carcere secondo me è fondamentale per permettere ai detenuti di riflettere e sviluppare al meglio le proprie potenzialità.


Ilaria Vanzan
 20 anni
studentessa,

Credo che l’istruzione nella carceri sia un modo per permettere ai detenuti di impegnare il loro tempo in modo utile sia per loro stessi, che per la società. Infatti, una persona più istruita, oltre ad avere più possibilità nel mondo del lavoro, ha anche più opportunità per riflettere sulla propria condotta. Avere un’istruzione per un detenuto è fondamentale, perché se sviluppa le sue conoscenze all’interno del carcere, può sperare in una vita migliore(onesta e giusta), quando esce. Questo è possibile, in quanto la cultura offre una via di uscita da una situazione di illeciti, attraverso magari un lavoro, e attraverso lo sviluppo della capacità di porsi nei confronti degli altri e di conseguenza delle regole giuridiche ed etiche imposte della società.
Per tutti i motivi sopra citati i soldi usati per l’istruzione nelle carceri sono indispensabili. Un modo nuovo e giusto di integrare delle persone considerate spesso ai margini della società. Una dimostrazione di civiltà che tutti dovrebbero apprezzare proprio perchè è un segno di collettività progredita!
Non c’è comunque, secondo me un livello di istruzione preciso che dovrebbe avere un detenuto, ma se si guarda all’aspetto pratico della questione e quindi alla ricerca di un lavoro anche fuori dalle mura del carcere, il titolo di studio più utile è probabilmente il diploma di scuola superiore. L’importante però è trasmettere la cultura ai detenuti, non tanto perché debbano arrivare ad un titolo scolastico, ma per il piacere di sapere che si trova leggendo, per l’amore verso la conoscenza che ci permettere di affrontare la vita nel migliore dei modi.
Ecco il motivo per cui, è a mio parere, fondamentale inserire una biblioteca ricca di libri in un carcere: formare una cultura alla persona che vada aldilà del conseguimento di un titolo di studio. Cercare di fornire attraverso la lettura dei libri un insegnamento valido e interessante per affrontare le difficoltà che ci possono essere in carcere o nel mondo esterno. E a proposito di questo, si può trovare un esempio in uno dei più belli film che trattano del tema del carcere: “ Le ali della libertà” del 1994, in cui viene ben presentato quanto sia importante per i detenuti avere una biblioteca in carcere. Mi vengono in mente queste poche, ma significative parole, che vengono scambiate tra il protagonista Tim Robbins (Andy) e uno suo amico detenuto (Red) interpretato da Morgan Freeman riferendosi al libro “Il conte di Montecristo”…
Andy: Questo libro parla di un uomo che scappa da un carcere.
Red: Allora dobbiamo inserirlo nelle letture didattiche?


Ringrazio tutti coloro che si sono adoperati a rispondere alla mia piccola intervista, impegnandosi e dedicando una parte del loro tempo!

E voi che state leggendo cosa ne pensate a riguardo?
                                                                                               Castellin Elisa

martedì 1 marzo 2011

Carcere e istruzione

Ciao a tutti!
Fin’ ora ho insistito molto sull’ importanza per i detenuti di poter lavorare, migliorando le proprie capacità, la proprie aspettative, imparando giorno per giorno qualcosa di nuovo.
Le carceri però offrono anche la possibilità per i detenuti di istruirsi, di seguire dei corsi, di studiare e credo che sia una possibilità che debba essere sfruttata dai detenuti che lo desiderino.
Molti detenuti non hanno neanche un diploma di scuola media, e questi ultimi possono avere la possibilità di intraprendere in carcere degli studi per ampliare le loro conoscenze, conseguire un diploma di scuola media (scuola primaria di secondo grado) , in alcune carceri anche diploma di scuola superiore (scuola secondaria di primo grado) e studi universitari.
Voi come la pensate a riguardo? Secondo voi è giusto che i detenuti possano avere la possibilità di studiare oppure pensi che i soldi che vengono impiegati per l’istruzione dei detenuti siano “sprecati”? Pensate che l’istruzione per i detenuti sia utile per lo sviluppo della personalità, della riflessione, per uno scopo di vita oppure  vedete l’istruzione solo come un modo per impiegare il tempo dei detenuti in carcere?