lunedì 13 giugno 2011

Ciao a tutti!
nel post precedente vi ho parlato dei minori in carcere, in questo post vi propongo una testimonianza di un ragazzo Alessander, di 19 anni che fin dall'età di 9 anni ha iniziato a delinquere ma che ora spera in un futuro migliore! 
Penso sia bello leggere queste testimonianze perchè ci si può rendere conto del fatto che spesso i minori che si trovano in carcere vengono rieducati, comprendono i propri errori e desiderano un futuro migliore, bisogna solo aiutarli affichè ne abbiano le possibilità!
(la testimonianza è ripresa dal sito "www.ristretti.it")


La mia storia inizia a nove anni. Il mio primo divertimento inizia a nove anni. Inizia così: a soli nove anni ero già un delinquente e a 13 anni già guidavo per le strade e rapinavo. Poi dopo essermi bastato il divertimento con gli amici e le discoteche cominciai ad avere dei problemi: a casa facevo tardi e così me ne andai da casa e feci il mio più grosso errore. Da lì cominciai a prendere delle droghe più pesanti delle canne e così la mia vita cambiò e diventò un inferno e così la mia prima esperienza in Sardegna di galera fu a soli 13 anni e così dicendo sino ad oggi che ne ho quasi 19. Beh, io ho qui mio padre e mia sorella e sono veramente cari con me, mia madre divorziò da mio padre quando io avevo 3 anni, beh io penso che se non fosse andata così ora io non sarei qui beh per il mio futuro penso di non fare più gli stessi sbagli di cui ora sto buttando la mia gioventù, io penso di mettere su famiglia e di mettere in funzione la mia capacità beh spero che ho chiuso con la giustizia, che il mio sogno si possa avverare e magari trovare una piccola sistemazione.
Alessander

domenica 12 giugno 2011

Minori in carcere

Ciao a tutti!
oggi vi vorrei parlare dei minori in carcere analizzando la situazione attuale in Italia; ma più nel particolare vorrei "dare dei numeri", qui nel Veneto precisamente a Padova vi è la Casa Circondariale in cui si trovano 184 detenuti di cui 65 sono detenuti con figli e vi sono 84 minori; nella Casa di Reclusione invece vi sono 696 detenuti di cui 243 detenuti con figli e 316 sono minorenni.
In generale c'è da tener presente che su cento persone denunciate in Italia poco più di tre sono minorenni il chè è un dato confortante se comparate con gli altri paesi: in Francia e in Germania la presenza di minorenni nelle carceri è quattro volte superiore mentre in Inghilterra una denuncia su quattro riguarda i minorenni.

In Italia i reati più frequenti sono i furti nei negozi, le rapine e le estorsioni mentre sono in diminuzione i furti nelle abitazioni e delle autovetture, come anche i reati riguardo gli stupefacenti.
Ascoltando i ragazzi spesso si notano situazioni difficili, di abbandono e di violenza sia fisica che psicologica e sfruttamento. Spesso questi giovani provengono da ambienti dove è presente la microcriminalità dove spesso sono sfruttati per contrabbandare sigarette, rubare e prostituirsi.

Gli Istituti minorili hanno come finalità quella di recuperare i ragazzi e ciò avviene attraverso attività educative, di sostegno e stimolo. Soprattutto tra i minorenni stranieri detenuti non vi è l'ambizione di studiare, imparare la lingua. In generale i minorenni detenuti preferiscono allo studio le attività mauali ed artigianali come ad esempio lavorare l'argilla, il legno, i materiali di riciclo; inoltre sono anche più interessati a praticare sport.
La maggiore mancanza  per questi detenuti è l'avere un rapporto con la famiglia di origine, per molti non vi era neanche prima di entrare negli istituti minorili; e spesso pochi di loro nel loro percorso rieducativo riescono a recuparare un rapporto con la propria famiglia con cui possono avere un colloqui settimanale. Ecco che in questa difficile situazione punto fondamentale e base per il miglioramento è l'educatore che assume un ruolo importante per il minorenne in quanto egli ha bisogno di aprire le proprie prospettive e renndersi conto che non vi è solo la violenza e la criminalità, ma anche altri valori molto importanti è si possono imparare a vedere nella propria vita e si possono attuare.
Credo sia importante dare l'opportunità a questi ragazzi di mogliorarsi perchè hanno tutta una vita davanti e possono avere la possibilità di imparare tante nuove cose sviluppando la propria personalità in modo diverso da come è stato in passato e tirar fuori, far nascere tante caratteristiche positive della loro persona.

sabato 11 giugno 2011

Intervista ad una mamma


Ciao a tutti,
vi propongo in questo post un’intervista ad una mamma detenuta alla Giudecca che ha quattro figli. In questa testimonianza si può vedere la disperazione della madre separata dai propri figli e il senso di colpa che posta con sé…
(la testimonianza e tratta del sito www.ristretti.it)

“Che posso dire del rapporto con i miei figli? Che al momento sono “perduti”, ma dico al momento perché tornerò e li ritroverò.”
Che cosa mi sta succedendo, da quando sono in carcere? Nella mia mente, che
ora non riceve nessuno stimolo-distrazione esterna, continuano ad affollarsi un’infinità di ricordi, e spesso mi tormento con i sensi di colpa, io mi do sempre la colpa. Lo trovo strano, perché fuori non mi soffermavo molto sul passato ma ero presa dal presente e proiettata nel futuro, anche se gli ultimi anni sono stati parecchio difficili, perché dovevo vivere con “la spada di Damocle”, ovvero, c’era sempre in agguato il rischio del mio rientro in carcere, che poi da rischio è diventato realtà.
Luca l’ho lasciato con 4 denti e non camminava ancora, ora parla. Al telefono ride e dice ciao, a tutti i bambini piace giocare con il telefono e sentire chi parla, sento la voce di mia madre che lo invita a dire “ciao mamma”, ma lui dice solo ciao: del resto, come può chiamarmi mamma se non sa chi sono, e la sua mamma ora è la nonna? Matteo invece non mi vuole neppure salutare, è offeso, si sente ingannato. Quando mi hanno portata via a lui che piangeva disperato in braccio alla nonna gli ho detto che tornavo presto. Le prime volte che lo sentivo al telefono piangeva e mi diceva: “Vieni tu”; anche un mese fa all’ultimo colloquio è stata la prima cosa che mi ha chiesto: “Vieni a casa?”
gli ho detto che “la mamma deve stare ancora un poco qui, ma poi viene a casa, presto”. Non mi ha detto niente ma nei suoi occhi ho letto la delusione, ha 3 anni. Piangendo rivedo Lara quando 9 anni fa al primo colloquio dopo 3 mesi che non la vedevo mi ha detto: “Resto con te”! “Non puoi”… “Perché?”. .. e non potevo più risponderle, due agenti mi stavano portando via. Anche lei non aveva ancora tre anni e io so che qualcosa le si è spezzato dentro: lei mi vuole bene, ma nello stesso tempo mi respinge, ha sofferto troppo, si difende. Andrea, il mio bambinone, sempre allegro ma anche tanto fragile. Quando mi hanno arrestato, in caserma l’ho allattato l’ultima volta, lui si era addormentato e quando si è risvegliato io non c’ero più. Io vivevo in simbiosi con i primi due, per imiei genitori i primi mesi sono stati drammatici. Li vedevo poco, sono lontani, il viaggio è stressante per tutti, ci sentiamo al telefono e quando chiedo “Cosa fate? raccontami qualcosa”, mi
rispondono “Il solito”. Già, il solito… Che posso dire del rapporto con i miei figli? Che al momento sono “perduti”, ma dico al momento perché tornerò e li ritroverò”.

Giuliana adesso è fuori, in famiglia: lei è una delle poche che, finora, hanno usufruito della nuova legge sulle detenute madri.
Quelle che seguono sono le sue prime impressioni di un ritorno, non facilissimo, a casa.

“Sono tornata e li ho ritrovati Andrea era così emozionato che piangeva, quanto mi ha aspettato, quante volte le sue speranze sono state frustrate… Matteo non riusciva a parlare, Luca, quello che temevo non mi riconoscesse più, è stato subito affettuoso. Lara mi osservava. “Siete contenti che la mamma è qui? Sono tornata, resto, non vado più via!”. “Penso di sì”. La risposta di Lara. Poi si sono scatenati: ognuno di loro mi faceva vedere le proprie cose per rendermi partecipe della sua vita, contemporaneamente (naturalmente!)… un’esplosione di energia. Ed io stavo arrivando da diciotto
mesi di vita statica, semi isolata. Un forte impatto emotivo, e un forte impatto nelle dinamiche famigliari: tre donne (mia madre, mia sorella, io), quattro bambini, possono nascere
incomprensioni, crearsi tensioni. In carcere ci si trova in una sospensione temporale, si è rinchiusi, i ritmi di vita sempre uguali, senza novità, sono subiti, agli arresti domiciliari invece sei rinchiuso in casa tua. Sono in famiglia, ci sono stati alcuni momenti in cui mi sono sentita demoralizzata, insicura, spersa. Vai dentro ed è uno shock, esci ed è un altro shock. Ma è normale che in famiglia possano esserci dei problemi, nulla comunque che non si possa risolvere con un dialogo franco. La nonna e la zia Lilli sono felicissime del mio ritorno, io sono grata a loro, se ho ritrovato subito i miei figli è perché hanno coltivato con loro il mio ricordo e hanno atteso il mio ritorno. Ora i miei famigliari sono in vacanza, al mare. Io sono sola a casa e mi “riassesto”, sto in casa, non posso avere visite, non posso gestire il telefono. Ho l’obbligo di mantenere i contatti con i servizi sociali, mi guardo intorno, scopro che qui per fortuna c’è un’ampia offerta di servizi e di proposte di
formazione professionale. Qualche settimana per me nelle due ore in cui posso uscire, due ore di libertà, vado in bicicletta in mezzo al verde. Un mese che sono fuori dal carcere, è volato! Sono agli arresti domiciliari, sto scontando una pena in una forma alternativa alla detenzione che, anche se sono a casa, è una limitazione della libertà, ma certo non è paragonabile a quella del carcere: basta pensare che ora vedo, tocco, ascolto i miei figli. “
Giuliana Fonte

venerdì 10 giugno 2011

Donne e madri detenute

Ciao a tutti,
oggi vorrei trattare con voi il tema delle donne nelle carceri, e a volte queste donne sono anche madri. Le donne nelle carceri rappresentano una percentuale molto bassa circa il 4% del totale questo in quanto i reati commessi da queste ultime hanno solitamente il più basso grado di pericolosità sociale.
Nel giugno 2000 in carcere vi erano 15 donne in stato di gravidanza, 56 donne madri detenute e altrettanti bambini al di sotto dei tre anni negli asili nido delle strutture carcerarie. In questo caso si fa perdere la centralità dell'innocenza del bambino sacrificandola a favore dell'espiazione della pena del genitore. Questo avviene nel momento in cui il bimbo minore di tre anni non è affidabile o tutelabile all'altro genitore (ciò avviene in quanto spesso anch'egli è detenuto).
La madre e il figlio che si trovano in carcere vengono alloggiati in spazi a loro riservati: gli asili nido. Uno degli elementi essenziali del trattamento infatti è considerare la necessità di mantenere gli affetti familiari.
Esistono anche delle case famiglia che sono strutture residenziali che consentono di ospitare madri e figli in applicazione di pene alternative alla detenzione; queste strutture vengono finanziate dai comuni per mezzo di cooperative sociali oppure associazioni di volontariato.
Vi sono stati degli studi che hanno indagato sull'effetto della carcerazione sulle donne incinte e i sui figli di madri detenute al momento del parto o che hanno comunque subito una carcerazione: il periodo pre e post-parto è caratterizzato da momenti di grande ansia per la maggior parte delle donne, ma per coloro che vivono in carcere gli stress vengono amplificati, e viene amplificato il vissuto di inadeguatezza e di impotenza.
Altri studi arrivano ad affermare che pur essendoci un miglior esito di parti tra le detenute rispetto alla popolazione libera vi è anche una maggiore probabilità di parto prematuro.
È importante tenere presente che la rottura dell'unità familiare genitore-figlio-ambiente sociale è dannosa e può arrecare gravi e permanenti danni al bambino.
Inoltre nello svolgimento delle pratiche di affidamento ad altra famiglia o a una struttura di accoglienza devono essere attentamente valutate tutte le variabili che concorrono alla decisione; bisogna considerare le condizioni socioeconomiche dell'ambiente familiare, quelle di salute fisica e psichica della madre e il livello di astinenza dall'uso di droghe e/o alcol.
Se invece l'autorità giudiziaria decide di tenere il bambino in carcere dovrà essere fornita sia al bambino che alla madre ogni attenzione e assistenza; dovranno essere garantiti la frequenza gli asili nido territoriali, opportuni spazi di socializzazione, una concreta vicinanza dell'altro genitore o dei parenti e un appropriato controllo delle condizioni di salute.
Io personalmente penso che il rapporto tra madre detenuta e bambino debba essere mantenuto se non in caso di pericolosità per il bimbo; ogni bambino ha bisogno di sua madre ed ogni madre ha bisogno del proprio bambino; ecco perché penso sia importante sviluppare e migliorare sempre più le possibilità e l'organizzazione all'interno delle carceri di asili nido a disposizione di mamme e bambini affinché anche questi ultimi abbiano la possibilità di crescere con accanto la propria madre e seppur in una situazione di difficoltà, attuare un percorso educativo con accanto i propri genitori.
Voi cosa ne pensate riguardo?

giovedì 12 maggio 2011

Suicidio nel carcere "Due Palazzi" di Padova

Ciao a tutti,
vorrei oggi parlarvi di un triste evento avvenuto il 5 aprile scorso, nel carcere Due Palazzi di Padova: un detenuto di nazionalità algerina si è impiccato. Si tratta di Mehedi Kadi che era stato arrestato nel 2008 e condannato per rapina e tentato omicidio. Il detenuto ha atteso che i suoi compagni uscissero per l'ora d'aria così da rimanere solo in cella e impiccarsi; avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2023.
Questo evento è il risultato di una situazione critica che permane da tempo all'interno delle carceri quale il sovraffollamento e le condizioni di precarietà di centinaia di detenuti come è anche stato denunciato dai sindacati della Polizia penitenziaria.
E’ importante notare come dall'inizio anno vi sono state 37 morti all'interno delle carceri italiane, tra cui 15 per suicidio, 17 per cause naturali, e 7 per cause da accertare; l'età media di questi ultimi è di 37 anni inoltre, 12 di questi erano stranieri e 25 italiani.
Secondo voi, come si può intervenire in una situazione come questa? Che prevenzione può essere fatta?
Sappiamo benissimo che il problema più grave è il sovraffollamento che impedisce ai detenuti di vivere in modo civile all'interno delle carceri ma secondo voi è possibile attuare un aiuto psicologico per questi ultimi? Come affrontare lo stress psicologico dovuto alle condizioni degradanti? Secondo voi meritano aiuto o dovrebbero essere lasciati a sè stessi?
Io credo che nonostante queste persone abbiano compiuto dei reati più o meno gravi abbiano comunque il diritto di vivere in una situazione civile (avere lo spazio necessario nelle proprie celle, pulizia e aiuti psicologici per poter affrontare la situazione in cui si trovano).
Ditemi, voi come la pensate?
                                                                        

venerdì 25 marzo 2011

lettura e scrittura nelle carceri

Ciao a tutti!
oggi vi propongo un'intervista fatta a Duccio Demetrio, ripresa dal sito http://www.ristretti.it/ ; la trovo molto interessante in quanto l'intervista riguarda la lettura e la scrittura nelle carceri.
Per quanto riguarda la lettura, raramente vi sono a disposizione dei detenuti libri da leggere all'interno delle carceri tanto che Duccio Demetrio afferma che i detenuti non godono del "piacere della solitudine buona" che si prova nel leggere un libro, distaccandosi dalla realtà in cui si è circondati ed entrando in un'altro mondo, spesso spensierato.
Per quanto riguarda invece le scrittura si attuano nelle carceri dei laboratori di scrittura autobiografica che come afferma Demetrio nell'intervista aiutano a pensare e riflettere su di sè, su ciò che li circonda e la scrittura poetica invece che aiuta a non rimuginare continuamente nei propri errori irrimediabili per cui spesso i detenuti si affliggono ma attreverso la scrittura poetica si distaccano da questa loro realtà problematica.

Vi propongo di seguito l'intervista. Ditemi cosa ne pensate!


Intervista a Duccio Demetrio, docente di pedagogia generale ed educazione degli adulti all’Università degli Studi di Milano ed esperto di scritture autobiografiche

 A cura di Ornella Favero e Omar Ben Ali


Alla scoperta della lettura e della scrittura in età adulta, nelle condizioni drammatiche dei luoghi di detenzione
Duccio Demetrio si occupa “da sempre” di scrittura autobiografica, e lo fa in particolare nelle realtà dell’emarginazione, che sono, dice lui, “sempre più, e per fortuna, attraversate oggi da esperienze e da proposte di natura educativa, di natura formativa”.
Di queste esperienze ci ha parlato in questa intervista, con la passione, l’originalità, la ricchezza comunicativa che contraddistinguono tutto il suo lavoro.
 
Ci può parlare di cosa vuol dire avvicinarsi alla lettura e alla scrittura in età adulta, in carcere?
C’è una frase famosa che introduce un piccolo testo, non a tutti noto, di Marcel Proust, “Sur la lecture”: “Non ci sono giorni in fondo così importanti nella nostra infanzia, così pieni, paragonabili a quelli che abbiamo passato con un libro”. Perché evoco questo passaggio, così importante e poetico, di Proust? Perché questo piacere, questa intimità, questa riservatezza, questa scoperta della propria unicità, non sono concessi a coloro che si trovano nelle carceri. Chi vive nelle carceri non viene da questi mondi, da queste culture private, viene da mondi promiscui, da mondi dove non solo non è mai entrato un libro, ma, soprattutto, dove la sua identità individuale non si è potuta costruire, separandosi anche e necessariamente dagli altri.
Chi vive nelle carceri non conosce l’esperienza della solitudine buona, il “piacere della solitudine buona”. Si trova, quindi, precipitato nelle carceri, dinanzi alla inevitabilità della solitudine, della tortura della solitudine, ancora una volta nella promiscuità, senza possibilità di emancipazione, di incontro con quel mondo privato che caratterizza la vita segreta di tutti noi, la vita dei grandi o dei piccoli spontanei narratori, che hanno avuto la fortuna di crescere, di svilupparsi nella cultura scritta.
Nelle carceri questo mondo non c’è. E quindi l’incontro con il libro, e con le grandi potenzialità dell’avvicinarsi (o dell’imparare a farlo, per la prima volta) al leggere e allo scrivere dischiude non soltanto l’esperienza dell’individuo alla cultura, ai primi approcci con il sapere, ma lo dischiude dal punto di vista esistenziale.
Questo mi sembra interessante, come studioso di età adulta, perché non è vero che noi nasciamo una sola volta, noi nasciamo tutte le volte che, come diceva Marguerite Yourcenar, noi gettiamo uno sguardo più consapevole nei confronti del mondo, nei confronti della realtà.
Noi nasciamo e rinasciamo e, quindi, l’incontro con la lettura e la scrittura costituisce un’esperienza che talvolta sottovalutiamo, che talvolta sottovalutano anche gli educatori che organizzano nelle carceri laboratori e momenti di emancipazione attraverso la lettura e la scrittura. Questi momenti di scoperta di sé rappresentano proprio l’aspetto più cruciale di questa rinascita psicologica al mondo.
 
Può raccontarci qualche esperienza di scrittura autobiografica in carcere?
Alla mia attenzione, nella mia Università e soprattutto presso l’Università che ho inventato, con un grande giornalista italiano, Saverio Tutino, tre anni fa (mi riferisco alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, che organizza corsi e seminari per diventare specialisti in autobiografia, per diventare anche operatori specialisti nella ricerca autobiografica), giungono ormai sempre più scritture che nascono nelle carceri.
C’è poi un testo di grandissima significatività che si intitola: “Lettere dal carcere”. E’ la storia di una volontaria nelle carceri, famosa, prestigiosa, si chiama Athe Gracci e lavora nel carcere di Pisa. È una donna di ottant’anni, che da decine di anni conversa con i reclusi, raccoglie le loro storie e le riorganizza. Dobbiamo a lei questo bellissimo testo, che ci dice quanto segue: “Quando mi capita di aprire per la prima volta un libro, subito immagino la ricchezza di ciò che andrò a leggere. Leggere è come un istante di libertà, che implica interesse per l’anima dell’uomo”.
E’ sulla base di queste convinzioni così profonde che inizia e si svolge il suo percorso di avvicinamento a storie di detenuti che “vengono scritte come sgravandosi di un peso, dopo colloqui di profonde riflessioni e malinconie, di sguardi intensi, spesso bruscamente interrotti per mancanza di tempo. Ed io cerco di convincerli che ogni essere è importante, è indispensabile all’universo. È necessario cercare e frugare nei più intimi segreti del loro cuore. Ho così parlato, nel corso di questi anni, con molte persone chiuse dentro le mura di un carcere”.
Ma ci sono anche molte altre esperienze, nel carcere di Opera, a San Vittore e anche nel carcere di Secondigliano, a Napoli.
 
Ma che senso ha la scrittura in carcere?
Perché la scrittura carceraria? Perché nasce questo bisogno di occuparsi dello scrivere di sé? Non solo perché, nel momento in cui, con la detenzione, l’esperienza della naturalità, della socialità del vivere viene meno, l’individuo inevitabilmente si avvicina a se stesso, ma soprattutto perché, nell’incontro con la scrittura di sé, noi troviamo ciò che costituisce una nostra tecnologia personale di ricostruzione del nostro mondo interiore, di ricostruzione di un tessuto psicologico profondo.
Non c’è altra modalità, credo, per dare alla crescita personale uno sbocco interessante e positivo. Chi scrive di sé, chi scrive diari, chi scrive epistolari con le tecniche più tradizionali, più antiche, più note, si accorge che mette in ordine i propri ricordi, le proprie immagini, le proprie rappresentazioni, i propri passaggi esistenziali.
 
Secondo lei, perché in carcere è così diffusa e amata la scrittura poetica?
Nella tecnica della scrittura noi ci imbattiamo sempre in due possibilità: da un lato una tecnologia narrativa di sé, della propria storia, dei propri passaggi esistenziali, dei propri momenti cruciali, dei propri errori, delle possibilità che erano state date e non sono state colte per emanciparsi e, dall’altro, troviamo un altro tipo di scrittura, che si sta diffondendo sempre di più nelle carceri e in questi laboratori, che è la scrittura trasfigurante  propria della poesia.
Io talvolta mi interrogo sul motivo per cui nelle carceri si tengono più laboratori di scrittura poetica che laboratori autobiografici. La risposta a questo interrogativo non è poi così difficile, perché la scrittura poetica ci evita ed evita anche ai detenuti di interrogarsi sui propri errori, sulle proprie recidività, sulle proprie menzogne.
La scrittura poetica talvolta è una forma importante di evasione, di creazione d’allucinazioni, è una scrittura che crea forme di giusta, inevitabile, importante evasione da sé. La scrittura autobiografica è tutt’altro, perché la scrittura autobiografica ci chiede e chiede non solo ai detenuti, ma a ciascuno di noi, il coraggio di avvicinarci alla verità (anche se poi la verità non viene scritta, per timore, per cautela, per preoccupazione), ed è una scrittura che genera processi mentali e conoscitivi che producono quella interiorizzazione e autoriflessione unica, che altrimenti non si genera e produce.
 
Quale differenza ha notato tra le biografie scritte dalle persone detenute e quelle scritte dalle persone libere? Ci sono degli elementi particolarmente curiosi e interessanti, da questo punto di vista?
Sì, proprio perché, secondo me, il detenuto preferisce scrivere in modo più libero e poetico, preferisce rimuovere e dimenticare certi eventi drammatici della sua vita precedente e dedicarsi di più a una scrittura che gli allevi questi dolori. È difficile che questo accada nelle autobiografie scritte in libertà, dove, invece, le persone vanno proprio a cercare i momenti drammatici della loro esistenza.
Li affrontano con maggiore serenità anche perché se lo possono permettere: la loro storia non è segnata, come quella di un detenuto, da momenti drammatici che uno preferirebbe dimenticare.
 
Per quanto riguarda i ragazzi stranieri che sono in carcere, come si può lavorare con loro nella scrittura autobiografica? Bisogna forse tener conto che, molto spesso, si portano dietro l’angoscia di un fallimento, quindi fargli raccontare le loro storie scatena anche questo dolore, queste ansie…
Io ho visto che, anche in questo caso, ha funzionato molto bene una specie di gioco dell’oca dei ricordi, che si può trovare spiegato nel mio libro “Il gioco della vita”, che contiene, tra l’altro, dei giochi autobiografici. Si tratta in realtà di un vero e proprio gioco dell’oca: i partecipanti tirano i dadi e, a seconda del numero estratto, finiscono in una casella e sono obbligati a raccontare un loro ricordo. Oltre a questa, il libro presenta trenta proposte di scrittura autobiografica e quindi il formatore può trovare quelle che più gli possono essere utili, del tipo: “Immagina di scrivere le cose più importanti della tua vita in un messaggio, che metti in una bottiglia immaginaria da gettare in mare. Vorresti che la bottiglia finisca nelle mani di chi?”
Sono giochi di evocazione e creatività. Non devono nemmeno essere giochi troppo insistenti sul passato, perché la cosa importante è, invece, la fiducia nella narrazione.
 
Pensa che la divulgazione delle autobiografie degli immigrati detenuti possa contribuire a cambiare certi pregiudizi nei loro confronti?
No, credo che non basti. Io penso che, per cambiare i pregiudizi, a livello dell’opinione pubblica, servano allora delle iniziative più efficaci per diffondere queste esperienze, come dei festival di narrazione interculturale, cioè delle manifestazioni in cui gli stranieri dimostrino, raccontando di sé, presentando pagine dei loro romanzi, che hanno una cultura, un acume nel leggere la loro condizione e anche la nostra condizione di occidentali.
Una scrittura, da sola, se non è sostenuta da iniziative culturali e pedagogiche che vanno nella direzione di un aiuto a queste storie, è troppo poco per conservarle, così rischiano di disperdersi.
 
La nostra esperienza è quella di fare un giornale con molte storie raccontate. Nell’opinione comune, spesso lo straniero è il criminale, ma se invece una persona comincia a leggere le storie di Imed, Nabil, Omar, e a vedere perché uno straniero ha lasciato il suo paese, come è arrivato in Italia, che cosa cercava, che cosa ha invece trovato, in qualche modo poi non può non capire che dietro l’identità dello “straniero criminale” ci sono molte storie di persone reali, con fallimenti, tentativi di vite diversi, paure e delusioni.
Questa esperienza fa parte, comunque, di una lettura e di una scrittura che non sono effimere, che si collocano dentro un progetto di lavoro preciso, ed allora i risultati possono essere davvero interessanti.
 
Da certi racconti provenienti dal carcere e anche dalle riflessioni di alcuni scrittori, a volte pare che la detenzione potrebbe avere una funzione pedagogica. Lei è d’accordo con questa opinione?
Non so se quella del carcere sia una funzione pedagogica, ma certamente rappresenta uno scarto nella vita, nell’esistenza, e qualche evento lo deve provocare.
Io non credo che il carcere sia la soluzione, però costituisce uno stacco, una rottura, un cambiamento. Il problema è di tirar fuori chi sta in carcere dall’immobilità, e già la scrittura, in qualche modo, mobilizza… ma è troppo poco! Nel carcere bisogna introdurre il lavoro, ma un lavoro che abbia ampi margini di creatività e di innovazione.








giovedì 17 marzo 2011

Piccola intervista


Ciao a tutti!!
Riguardo il tema dell’istruzione nelle carceri ho pensato di fare una piccola intervista, solo 5 domande, per sapere cosa ne pensano le persone a riguardo (in particolare i giovani); ho utilizzato un metodo di comunicazione oggi molto diffuso da questi ultimi, cioè un social network, Facebook.
Le domande che ho proposto sono:
1)Cosa ne pensi riguardo all’istruzione nelle carceri?
2) Pensi sia importante che i detenuti possano avere un’istruzione e sviluppare le loro conoscenze all’interno del carcere? Perché?
3) I soldi impiegati per l’istruzione nelle carceri secondo te sono sprecati o sono utili?
4) Che livello di istruzione dovrebbe avere secondo te un detenuto?
5) Secondo voi è utile la presenza di una biblioteca a disposizione dei detenuti all’interno delle carceri? Perché?

Ecco le varie, interessantissime risposte(sono riportate integralmente come le ho ricevute):

Adriano
Castaldini
35 anni
Pianista

1) L'istruzione nelle carceri è fondamentale
2) L'istruzione in ogni ambito è l'UNICO deterrente contro la delinquenza, e questo è ampiamente dimostrato. L'istruzione nelle carceri aiuta realmente a formare l'individuo ed a dargli la concreta possibilità di non tornare a delinquere una volta in libertà.
3) I soldi per l'istruzione PUBBLICA sono benedetti perché permettono di non arrivare all'emergenza sociale: il problema del sovraffollamento nelle carceri si supera soprattutto investendo PRIMA nel sociale (e quindi nell'istruzione). Va da se che investire denaro anche nell'istruzione nelle carceri è sempre una benedizione, e dovrebbe essere l'unico slogan per la sicurezza nelle nostre città.
4) Livello di istruzione anche universitario.
5) La biblioteca è lo strumento principale per istruirsi, per evolversi, e per formare un pensiero libero.


Elisa
Bortolato
19 anni
Studentessa

1)Cosa ne pensi riguardo all’istruzione nelle carceri? Non sono molto informata, ma secondo me l'istruzione nelle carceri è insufficiente. Proprio come tu hai affermato nel tuo blog: "Il detenuto è invece una persona che deve avere la possibilità di migliorarsi, di dire liberamente le proprie idee e sviluppare le proprie capacità, esternare la propria curiosità, imparare cose nuove mediante lo studio o il lavoro, singolo o di gruppo, mediante attività che possono essere proposte." anche io ritengo che il detenuto non debba essere solo una persona che deve scontare una pena, per quanto grave sia, perché ricordiamoci che in primo luogo egli è una persona.
2) Pensi sia importante che i detenuti possano avere un’istruzione e sviluppare le loro conoscenze all’interno del carcere? Perché? Certo, proprio perché i detenuti hanno bisogno di crescere, di essere educati, come tutti noi. Anzi, loro avranno ancora più bisogno della società che, per quanto scettica possa essere nel pensare che un detenuto possa essere normale, dovranno dimostrargli che possono essere persone con una condotta di vita normale e che si può migliorare.
3) I soldi impiegati per l’istruzione nelle carceri secondo te sono sprecati o sono utili? Non saprei rispondere sinceramente, perchè non sono informata in come i soldi spesi vengano usufruiti per l'istruzione.
4) Che livello di istruzione dovrebbe avere secondo te un detenuto? Dipende dall'età. Se è appena maggiorenne deve avere la possibilità di continuare i suoi studi. Così come un detenuto adulto, che nel suo cammino carcerario vuole riprendere o iniziare gli studi, gli deve essere data la possibilità. In fondo, lo studio non ha mai ucciso nessuno. :)
5) Secondo voi è utile la presenza di una biblioteca a disposizione dei detenuti all’interno delle carceri? Perché?
Si, secondo me è utilissima, magari con molti libri psicologici, religiosi e di narrativa. Un pò per permettere al detenuto di uscire dal quel mondo fatto di ferro e sbarre..un pò per capire più se stesso, studiando, credendo in qualcosa di nuovo..Una via di fuga nella loro mente!


Aurora
Di Nunno
19
Studentessa di Psicologia

1) L’istruzione nelle carceri è utile ai fini della persona in sè, ma in un'ottica più pragmatica sarebbe meglio procurare loro un lavoro
2) Non sono d’accordo perché il provvedere all’istruzione sarebbe una proposta a spese di altri
3) I soldi per l’istruzione sono, secondo me,  assolutamente sprecati per una persona che ha sbagliato e non dovrebbe avere troppi diritti nel periodo della rieducazione (in questo caso il diritto allo studio)
4) Un detenuto non dovrebbe avere nessun livello particolare di istruzione
5) Una biblioteca nelle carceri è utile, perchè lo svago è necessario per qualsiasi persona


Ilaria Castellin
21 anni
studentessa e lavoratrice

1) Io credo che l'istruzione sia positiva ma la delimiterei solo per alcune tipologie di detenuti, per coloro che devono scontare una pena di poco tempo in modo che poi l'istruzione che ricevono sia utile quando tornaranno in libertà; per coloro la cui pena è l'ergastolo non avrebbe senso istruirli.
2) Penso sia sì importante che i detenuti vengano educati ma questo non deve diventare un pretesto  per sperare di essere rilasciati prima dalla condizione carceraria con il pensiero che abbiano imparato già tutto.
3) I soldi impiegati per l’istruzione nelle carceri in parte sono utili. Certo è che prima di essere spesi x educarli dovrebbero spenderli per creare degli ambienti più sicuri (vedi evasioni e suicidi in carcere)
4) Penso che se i detenuti avessero un livello alto di istruzione non ci sarebbero finiti in carcere....
5)si, è utile una biblioteca nelle carceri per informarsi, per passare il tempo, x studiare per conto loro,per una cultura personale.


Greta Rossi
19 anni
studentessa

1-  A mio parere l'istruzione dev'essere libera e quindi interessare ognuno di noi quindi se ha la possibilità di esserci anche in un carcere ben venga.
2- Secondo me è importante un’istruzione per i detenuti in quanto queste persone avrebbero la possibilità di avere un grado di istruzione superiore a quello che tutt'ora hanno e reinserirsi nella società attraverso un lavoro onesto come la maggior parte delle altre persone.
3- I  soldi spesi per l’istruzione nelle carceri possono essere utili.
4- Per i detenuti penso a un livello di scuola superiore/istituto professoniale.
5- Sì, è utile una biblioteca nelle carceri perchè a mio avviso la lettura permette agli uomini di espandere la propria cultura e spesso di poter comprendere cosa stanno sbagliando nella loro vita e quindi di cambiarla.

Isabella
Leonetti
28 anni
studentessa

1- Penso che l’istruzione nelle carceri sia una cosa positiva perchè è una possibilità in più per crescere e magari capire!!
2- Si perchè è un modo per i detenuti di avere un' altra possibilità e un' opportunità quando un giorno sarsnno liberi; la cultura e quindi il fatto di essere istruiti, è l' unico modo per accedere nella società e a maggior ragione per un ex detenuto per il quale una volta fuori sarà molto più difficile reintegrarsi.
3- I soldi spesi per l’istruzione nelle carceri sono senz'altro utili!
4- Secondo me il livello di istruzione che dovrebbero avere i detenuti è il massimo quindi la laurea!
5- Una biblioteca nelle carceri sarebbe utilissima. E’ il modo più semplice e naturale per accedere alla cultura e al sapere, non quello che viene insegnato ma ciò che si può imparare da sè attraverso l' esperienza di sé, di quello che si è, e magari di ciò che si vuole essere. E’ necessario sapere, conoscere la storia degli uomini per capire anche i propri errori e non commetterli più!

Martina Braggion,
20 anni,
 studente lavoratrice.

Secondo me l' istruzione in carcere è molto utile per tenere impegnate le persone che in passato hanno sbagliato. I soldi impiegati per questo scopo secondo me non sono sprecati, tranne che in casi particolari. Infatti proprio perchè il carcere ha una funzione rieducativa tutte le iniziative che hanno come fine l' istruzione sono importanti per poter permettere in futuro ai detenuti di reinserirsi nella società. Quindi la presenza di una biblioteca nel carcere secondo me è fondamentale per permettere ai detenuti di riflettere e sviluppare al meglio le proprie potenzialità.


Ilaria Vanzan
 20 anni
studentessa,

Credo che l’istruzione nella carceri sia un modo per permettere ai detenuti di impegnare il loro tempo in modo utile sia per loro stessi, che per la società. Infatti, una persona più istruita, oltre ad avere più possibilità nel mondo del lavoro, ha anche più opportunità per riflettere sulla propria condotta. Avere un’istruzione per un detenuto è fondamentale, perché se sviluppa le sue conoscenze all’interno del carcere, può sperare in una vita migliore(onesta e giusta), quando esce. Questo è possibile, in quanto la cultura offre una via di uscita da una situazione di illeciti, attraverso magari un lavoro, e attraverso lo sviluppo della capacità di porsi nei confronti degli altri e di conseguenza delle regole giuridiche ed etiche imposte della società.
Per tutti i motivi sopra citati i soldi usati per l’istruzione nelle carceri sono indispensabili. Un modo nuovo e giusto di integrare delle persone considerate spesso ai margini della società. Una dimostrazione di civiltà che tutti dovrebbero apprezzare proprio perchè è un segno di collettività progredita!
Non c’è comunque, secondo me un livello di istruzione preciso che dovrebbe avere un detenuto, ma se si guarda all’aspetto pratico della questione e quindi alla ricerca di un lavoro anche fuori dalle mura del carcere, il titolo di studio più utile è probabilmente il diploma di scuola superiore. L’importante però è trasmettere la cultura ai detenuti, non tanto perché debbano arrivare ad un titolo scolastico, ma per il piacere di sapere che si trova leggendo, per l’amore verso la conoscenza che ci permettere di affrontare la vita nel migliore dei modi.
Ecco il motivo per cui, è a mio parere, fondamentale inserire una biblioteca ricca di libri in un carcere: formare una cultura alla persona che vada aldilà del conseguimento di un titolo di studio. Cercare di fornire attraverso la lettura dei libri un insegnamento valido e interessante per affrontare le difficoltà che ci possono essere in carcere o nel mondo esterno. E a proposito di questo, si può trovare un esempio in uno dei più belli film che trattano del tema del carcere: “ Le ali della libertà” del 1994, in cui viene ben presentato quanto sia importante per i detenuti avere una biblioteca in carcere. Mi vengono in mente queste poche, ma significative parole, che vengono scambiate tra il protagonista Tim Robbins (Andy) e uno suo amico detenuto (Red) interpretato da Morgan Freeman riferendosi al libro “Il conte di Montecristo”…
Andy: Questo libro parla di un uomo che scappa da un carcere.
Red: Allora dobbiamo inserirlo nelle letture didattiche?


Ringrazio tutti coloro che si sono adoperati a rispondere alla mia piccola intervista, impegnandosi e dedicando una parte del loro tempo!

E voi che state leggendo cosa ne pensate a riguardo?
                                                                                               Castellin Elisa